Il
quartiere IACP di Corviale ha sollevato nel tempo roventi polemiche
nel mondo degli architetti e animati dibattiti pubblici. A tratti
se ne è auspicata la demolizione, a tratti esaltata la caratteristica
di grande segno urbano, elemento potenzialmente ordinatore dell'espansione
della città nel quadrante ovest. Al di là delle critiche
che l'intervento ha suscitato fin dalla sua realizzazione, esso resta
una significativa testimonianza di un'epoca della storia dell'architettura
romana, nella quale il tema della macrostruttura residenziale, direttamente
intersecato con ragioni sociopolitiche, è stato trattato anche
con accenti utopistici. La cattiva fama del quartiere è connessa
alla densità abitativa e alla scarsa integrazione funzionale
fra le diverse destinazioni d'uso che lo compongono: l'oggettualità
del manufatto, fisicamente lontano dal resto della città, lo
condanna ad un tragico isolamento, una nave nel deserto, circondata
da un'edilizia mista e in parte spontanea, priva di centralità
e spazi pubblici di relazione. Il Programma di Recupero Urbano ha
impegnato una serie di aree limitrofe al macrosegno urbano disposte
su lotti residuali. Esse sono state urbanizzate perseguendo una strategia
basata sul tentativo di ridurre l'isolamento dell'edificio-quartiere
attraverso una fabbricazione estensiva concentrata sul tema dell'edificio
e soprattutto del vuoto: piazze, percorsi attrezzati e giardini